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Dove e come paga le tasse un italiano residente all’estero?

Pubblichiamo con piacere un analisi approfondita del Avv. Bertaggia che con il suo studio di Ferrara collabora attivamente con ACIA – Camera Commercio Italo Albanese.

Trasferimento estero, dove pago le tasse? Questo è un quesito che tutti quelli che, a causa del sistema Italia in procinto di affondare sempre di più; si trasferiscono, o vogliono trasferirsi a vivere ed a lavorare all’estero, si pongono. Ma quale è la realtà? Nel senso: se un soggetto trasferisce, realmente, (non ci occuperemo di trasferimenti all’estero fittizi, i quali sono, giustamente, sanzionati) la sua residenza fiscale e la sua attività lavorativa all’estero, cosa succede dal punto di vista fiscale? Dove paga le tasse? Deve pagare ancora qualcosa in Italia? Coma fa ad essere sicuro che il suo trasferimento estero non sia reputato inefficace dallo stato italiano? In altre parole: residenza estero: le tasse. Trasferimento estero, dove pago le tasse? come faccio ad effettuare un trasferimento estero sicuro ed inattaccabile secondo la normativa giuridica e fiscale italiana ed internazionale? Possiamo aiutarti, leggi attentamente quest’articolo, ed in ogni caso contattaci per ottenere consulenza ed assistenza su come trasferirti all’estero in modo legale e sicuro. Procediamo con ordine, studiamo assieme e valutiamo il problema.

TRASFERIRSI ALL’ESTERO. LE VALUTAZIONI PRELIMINARI

Moltissimi cittadini italiani, esasperarti dall’attuale situazione politica, sociale ed economica italiana, che potremmo riassumere in: fiscalità eccessiva-servizi inesistenti-immigrazione selvaggia-, che hanno come conseguenza la sensazione (il più delle volte esatta) che in Italia non vi sia più la possibilità di vivere e lavorare dignitosamente, perchè, da un lato le tasse assorbono praticamente tutto il reddito creato dal lavoratore, dall’altro, tale tassazione non viene redistribuita ai cittadini con servizi adeguati (sanità, istruzione etc); e dall’altro il cittadino italiano è discriminato in ogni sua necessità dal favore accordato (in suo danno) ai migranti economici, che assorbono tutte le risorse di quel che resta dello stato sociale italiano. Tutto ciò rende evidente la disfatta del sistema Italia e l’esigenza di crearsi un’alternativa.
Unica soluzione, specie per i giovani, trasferirsi a vivere ed a lavorare all’estero.
Situazione tragica, sotto gli occhi di tutti. Ma l’esasperazione non è sufficiente per andarsene, occorre calcolare esattamente i benefici e gli svantaggi derivanti da un trasferimento all’estero. In ogni scelta ve ne sono: da ciò non è possibile prescindere. Una persona che sogna e medita di andarsene all’estero dovrà, innanzitutto, valutare se ne ha una reale convenienza a trasferirsi a vivere e lavorare all’estero, evitando di farsi travolgere dall’esasperazione del momento (magari dopo avere visto un video di Bello Figo…..). Poi valuterà lo stato in cui sarebbe per lui meglio andarsene e, infine, quando sarà realmente convinto che il trasferimento all’estero per lui è vantaggioso, recarsi da un professionista esperto in diritto societario internazionale al fine di effettuare tutte le numerose e complesse procedure di trasferimento di residenza all’estero in maniera completa e legale. Quest’ultimo passo è il più importante. Trasferirsi all’estero con il fai da te giuridico o con il consiglio di qualche improvvisato può danneggiare in maniera sconvolgente la persona, togliendoli quelle energie fisio-psichiche e quelle risorse economiche che gli sarebbero servite per coronare il suo sogno di trasferirsi all’estero. Ma il problema permane: residenza estero: le tasse?
Per effettuare un regolare trasferimento di residenza all’estero, occorre valutare con attenzione numerosi aspetti, senza i quali non solo il trasferimento all’estero sarà inutile e vano, ma, in più, avrete problemi e sanzioni fiscali e penali da parte dello stato italiano.

TRASFERIMENTO ALL’ESTERO: LE TASSE

Il trasferimento della residenza fiscale delle persone fisiche (per quella delle persone giuridiche cfr altri articoli nel blog) è, attualmente, una questione di particolare attualità, soprattutto, ma non solo, perché il livello di pressione fiscale e di criminalità dovuta al flusso incontrollato di migranti clandestini (a cui sono riservati i vantaggi del welfare italiano, tolti agli italiani) a cui si è giunti nel nostro Paese ha condotto molte persone a meditare e programmare  un possibile trasferimento verso l’estero, ma anche perchè la crisi economica e la tassazione eccessiva rendono sempre più difficile lavorare con profitto in Italia. Trasferirsi all’estero e modificare in maniera positiva il proprio stile di vita è sicuramente un obiettivo, ma per farlo con sicurezza è bene, da un lato, conoscere la normativa di riferimento, oppure (opzione preferibile) appoggiarsi a professionisti preparati in tema di trasferimento all’estero, al fine di non trovarsi, rapidamente, con problemi con il Fisco italiano. Le concrete problematiche del trasferimento all’estero sono tutte legate nell’evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, che cerca sempre di contestare l’effettività di tale trasferimento all’estero, al fine di non farsi sfuggire base imponibile.
Bisogna riuscire a provare ed a dimostrare che il trasferimento all’estero è reale e non fittizio.
Molti soggetti sono convinti che il fatto puro e semplice di lavorare all’estero comporti l’inesigibilità di tasse in Italia. Non è così. Residenza all’estero: le tasse? Non è così semplice. Ma in Italia cosa lo è? Praticamente nulla. Uno dei motivi per cercare di andarsene dall’Italia. Il più in fretta possibile.
residenza estera le tasseLo stato italiano vuole le tasse per sostenere costi e spese fuori controllo e difficilmente consente che un residente italiano sfugga, seppure legalmente, al suo controllo. Ciò ha comunque dei precedenti storici non indifferenti. Probabilmente Giambattista Vico vi vedrebbe un ricorso storico.
Per tornare al nostro tema, residenza all’estero: le tasse, ricorderemo che, ultimamente infatti, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno potenziato la vigilanza sui soggetti che trasferiscono (fittiziamente o no) la propria residenza all’estero. Come dicevamo, lo stile di vita in Italia, diventato sempre più problematico a causa della disoccupazione e dell’occupazione di tutte le risorse assistenziali da parte dei migranti clandestini, la pressione fiscale insopportabile (a fronte dei nulli servizi) e le continue comunicazioni di accertamento da parte del fisco hanno convinto molti contribuenti a tentare di spostare all’estero la propria residenza per cercare di ottenere una tassazione fiscale più favorevole rispetto a quella del nostro Paese, oltre che di un modo di vita più civile e rispettoso di chi lavora.
Bisogna però fare particolarissima attenzione al trasferimento all’estero della propria residenza, per non ritrovarsi ad avere spiacevoli accertamenti fiscali.
In poche parole occorre rivolgersi ad un professionista esperto in diritto societario internazionale. Il fai da te giuridico non paga mai, anzi, danneggia gravemente.
La tassazione che subisce il residente fiscale italiano, infatti, quand’anche viva di fatto e lavori al di fuori dell’italia, è molto differente da quella a cui viene sottoposto una persona che sia fiscalmente residente all’estero.
Il residente fiscale italiano subisce infatti, sulla base del principio della “worldwide taxation“, l’imposizione fiscale su tutti i redditi da costui ovunque prodotti nel mondo durante l’anno di imposta, nessuno escluso, nel mentre il residente estero (anche qualora sia cittadino italiano) sarà tassato, in Italia, esclusivamente sui redditi ivi prodotti. Differenza non da poco. Vantaggio notevole. Ma perchè ciò sia legale è assolutamente necessario che la residenza estera sia reale, provata, e non fittizia. No quindi alle false residenze, si invece al regolare espatrio ed al concreto trasferimento della propria residenza all’estero.

TRASFERIMENTO ALL’ESTERO: LA RESIDENZA FISCALE

La prima cosa da valutare, sempre nell’ambito residenza estero: le tasse, nel caso di volontà di trasferimento della residenza all’estero è comprendere cosa si intenda con “residenza fiscale”: tale residenza è assolutamente divergente da quella valutata ai fini civilistici. Giustappunto infatti, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti in Italia (articolo 2 comma 2 del Tuir) le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni sui 365), anche non continuativamente, vedono verificata una delle seguenti condizioni:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” Conseguentemente viene tassato sulla base del reddito ovunque prodotto (anche all’estero) anche colui che è residente all’estero ma che non ha provveduto a cancellare dall’anagrafe italiana la sua residenza. Purtroppo spesso accade che ci siano persone che vivono da anni all’estero ma che, per i più varii motivi (dimenticanza, noncuranza, timore di perdere l’assistenza sanitaria etc.) non hanno mai cancellato la loro residenza in Italia.
Orbene in tale caso, anche se uno vive e lavora all’estero realmente, sarà tassato (anche) in Italia, con la conseguenza che se si risiede in uno Stato estero non firmatario di un trattato contro le doppie imposizioni con l’Italia, si pagheranno le tasse in Italia e nello Stato estero di residenza. Insomma, un ottimo risultato!. Ma, almeno, non si saranno pagate competenze ad un avvocato internazionale esperto di trasferimenti di residenza al’estero,…..tanto era una spesa inutile……
Sulla base di ciò che abbiamo detto, come è possibile quindi individuare nel territorio italiano il proprio domicilio?  Il domicilio fiscale rappresenta il centro principali dei propri affari e interessi, vi sono però dei particolari da tenere in considerazione, da un lato il centro dei propri affetti personali, poiché possono crearsi contrasti tra legami economici e familiari, ai fini della determinazione del Paese di residenza del soggetto passivo; in tal caso molta giurisprudenza propende per dare prevalenza a questi ultimi. Si pensi ad esempio, al soggetto che lavora da anni all’estero, ma ha la moglie e i figli residenti nel nostro Paese.
Vero è che un soggetto che decida di trasferirsi all’estero presumibilmente sarà quanto meno separato legalmente (o sarà in procinto di farlo) e verrà in Italia per ottemperare ai suoi obblighi genitoriali e null’altro, avendo rescisso per tempo ogni altro suo residuo legame con l’Italia.
La giurisprudenza in materia è, come sempre in Italia, incerta ed ondivaga. Quella più recente (ma ancora non maggioritaria) specifica che le relazioni affettive e familiari invocate dall’Agenzia delle Entrate non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento.
Più in particolare, la Corte attribuisce preminenza agli elementi fattuali consistenti nell’avere, nel territorio estero, il centro degli interessi economici, ovvero la sede principale dell’attività sicché il centro degli interessi vitali del contribuente va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi.
La Cassazione ha infatti più volte affermato la rilevanza del criterio della riconoscibilità del domicilio da parte dei terzi. In tal senso è del tutto irrilevante il carattere soggettivo della scelta del contribuente, atteso che, nel momento in cui si deve rilevare quale sia il risultato di detta scelta, la volontà individuale va contemperata con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, di talché la localizzazione della sede principale degli affari e degli interessi va individuata nel luogo in cui detti interessi sono esercitati abitualmente, traducendosi in manifestazioni oggettivamente apprezzabili e riconoscibili dai terzi (cfr. Cass., 18 novembre 2011, n. 24246; Id., 15 giugno 2010, n. 14434).

TRASFERIMENTO ALL’ESTERO: I PRESUPPOSTI PREVISTI DAL TUIR PER L’INDIVIDUAZIONE DELLA RESIDENZA DELLE PERSONE FISICHE

Ricordiamo che l’art. 2, comma 2, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (“Tuir”) stabilisce i principi fondamentali in base ai quali un soggetto è considerato residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi. In particolare, la norma menzionata stabilisce che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” .
La nozione di residenza fiscale assume quindi, un pregnante significato, poichè consente l’individuazione dei redditi che concorrono a formare la base imponibile dell’imposta. Infatti, alla luce del principio della “tassazione dell’utile mondiale”, il già citato worldwide income taxation, saranno tassati in Italia tutti i redditi posseduti, quale ne sia la provenienza e il luogo di produzione, ciò a mente dell’art 3 del TUIR che così recita: art. 3, comma 1, Tuir “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”. Questo anche per bloccare subito le interpretazioni di coloro (e non sono pochi) che credono che avendo clientela all’estero, detti redditi non siano imponibili in Italia.
In ambito tributario la residenza fiscale indica una fattispecie caratterizzata da diverse forme di peculiare e specifico legame con il territorio, alternative tra di loro: la prima, dicevamo, è costituita dall’iscrizione nella anagrafe della popolazione residente in Italia che si traduce in una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia; le altre due, di natura cogente, sono il domicilio e la residenza nello Stato ai sensi dell’art. 43, commi 1 e 2, del Codice Civile. Tali commi, in particolare, dispongono, rispettivamente, che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi — a prescindere, dunque, dalla sua effettiva presenza nel luogo — mentre la residenza è nel luogo in cui essa ha la dimora abituale. Ricordiamo che la Cassazione, in questo tema, significa che: “la residenza è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante, sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento”. Così Cass., 5 febbraio 1985, n. 791. In senso conforme Cass., 14 marzo 1986, n. 1738; Id., 5 maggio 1980, n. 2936.
A mente della legislazione vigente, quindi, ricordiamo che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non costituisce un elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia in tutti quei numerosi casi in cui il contribuente abbia in Italia il proprio domicilio o la residenza.

RESIDENZA ESTERO: LE TASSE. COME DIMOSTRARE DI NON ESSERE RESIDENTI IN ITALIA

A questo riguardo, significhiamo che quando vi è residenza nel territorio Italiano, vi è coincidenza della stessa con la dimora abituale del soggetto. Però: se l’individuazione delle condizioni che connotano la nozione di residenza non pone problemi pratici o interpretativi di rilievo, al contrario il concetto di domicilio, anch’esso importantissimo al fine della risposta al quesito: residenza estero: le tasse pone notevolissimi problemi interpretativi, risolti in vario modo dalla giurisprudenza. La valutazione stessa dell’esistenza del domicilio, alla luce dei diversi interessi, di natura sia affettiva che patrimoniale, che coesistono con il concetto di domicilio, diventa difficilmente ragguagliabile con certezza assoluta (innanzi all’esigenza di provarne, nell’ambito del futuro, probabile, contenzioso fiscale, l’esistenza in un luogo anzichè in un altro) se consideriamo che il domicilio può prescindere dalla presenza della persona nel sito estero prescelto. Sarà pertanto necessario effettuare una disamina di tali principi nell’ambito di una valutazione complessiva degli affari e degli interessi della persona fisica, che tenga conto della peculiarità e della specificità della situazione concreta. Ogni caso di trasferimento di residenza all’estero è a sè stante, conseguentemente. Residenza estero: le tasse. Non esiste una risposta univoca.

IL DOMICILIO SECONDO L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ITALIANA

L’Amministrazione finanziaria italiana fornisce un’interpretazione della nozione di domicilio piuttosto estesa. In particolare, nella Circolare n. 304 del 1997 la locuzione “affari e interessi”, “deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona” . Con ciò ampliando, evidentemente a esclusiva tutela degli interessi erariali, l’operatività della nozione di residenza fiscale con la conseguenza che, secondo tale prospettiva, sono considerati residenti in Italia anche quei soggetti che hanno dimora abituale all’estero, in quanto lì svolgono la propria attività lavorativa, e famiglia in Italia. Questo concetto è di particolarissima pregnanza interpretativa: sembrerebbe impossibile da risolvere, ma non è così. Prosegui nella lettura e capirai il perché. Partendo da tali premesse, tutte volte ad attrarre i redditi ovunque realizzati, in Italia, la Circolare si sofferma sulla necessità che “dalle indagini scaturisca una ‘valutazione d’insieme’ dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro paese; valutazione che, indipendentemente dalla presenza fisica e della solo attività lavorativa, esplicata prevalentemente all’estero, consenta di stabilire che la sede principale degli affari e degli interessi deve situarsi nel territorio dello stato italiano”.
Questo è il primo ostacolo (ma non l’unico) alla realizzazione di una positiva residenza estera a seguito di trasferimento: tali indici significativi di tale presenza sono, secondo il citato documento di prassi, il possesso in Italia di un’abitazione permanente, la presenza delle famiglia, l’accreditamento su conti nazionali dei proventi dovunque conseguiti, il possesso di beni anche mobiliari, la partecipazioni a riunioni d’affari, la titolarità di cariche sociali, il sostenimento di spese alberghiere o di iscrizione a circoli o clubs, l’organizzazione della propria attività e dei propri impegni anche istituzionali, direttamente o attraverso i soggetti operanti nel territorio italiano. Non sembra invece rilevante il possesso di quote azionarie o societarie anche in persone giuridiche residenti.
Da ciò dovrà discendere cosa non deve fare e cosa non deve avere il cittadino italiano che voglia trasferire la sua residenza all’estero e non voglia che tale trasferimento di residenza possa essere reputato fittizio.

LA RESIDENZA ESTERA SECONDO L’OCSE

Si tratta di uno dei criteri elaborati dall’OCSE per risolvere i casi in cui una persona fisica risulti contemporaneamente residente in due Stati sulla base delle rispettive legislazioni tributarie: in tema di residenza estero: le tasse, l’art. 4 del Modello OCSE individua, nei casi di doppia residenza secondo le normative interne, i criteri volti a determinare lo Stato in cui il contribuente debba essere considerato residente. I criteri previsti da tale articolo, sono alternativi e conducono a determinare la residenza:
— nello Stato nel quale una persona abbia un’abitazione permanente; qualora disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati è considerata residente in quello nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);
— se non è possibile individuare lo Stato nel quale il contribuente abbia il proprio centro degli interessi vitali o se il medesimo non ha abitazione permanente in alcuno degli Stati, esso è considerato residente nello Stato in cui soggiorna abitualmente (soggiorno abituale);
— se il contribuente soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati o non soggiorna abitualmente in nessuno di essi, esso è considerato residente nello Stato del quale ha la nazionalità;
— se tale persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le Autorità competenti degli Stati risolvono la questione di comune accordo.

Autore. Studio Legale Internazionale Bertaggia – Titolo -RESIDENZA ESTERO: LE TASSE-, in www.avvocatobertaggia.com/blog
INFO LINE TRASFERIMENTO RESIDENZA ALL’ESTERO: +390532240071

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